Importanti segnali di ingerenza pubblica arrivano dal disegno di legge di Bilancio 2025, presentato il 23 ottobre 2024 dal Governo alla Camera per l’esame parlamentare e attualmente in corso di discussione.
Con l’introduzione dell’art. 112, infatti, società, enti, organismi e fondazioni che ricevono, anche in modo indiretto e sotto qualsiasi forma, contributi a carico dello Stato, di entità significativa (al momento fissati nella soglia di Euro 100.000), dovrebbero inserire nei propri collegi di revisione o sindacali un rappresentante designato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, dando di fatto luogo a un controllo che poco si discosta da una forma di commissariamento.
La misura ha suscitato grande sconcerto, con numerose proteste arrivate non solo dal mondo del Non profit, ma anche da parte dei rappresentanti di categoria di sindaci e revisori, che rimarcano come la norma sia foriera di molteplici criticità: dalla limitazione della libertà di nomina da parte dell’assemblea dei soci, al contrasto normativo con il Codice Civile, al potenziale scavalcamento dei requisiti professionali previsti, fino all’introduzione di una specie di doppio binario nei doveri degli organi di controllo.
La norma appare in grado di aumentare i costi di gestione dell’ente nella misura in cui, per consentire anche all’organo statutariamente previsto di nominare un componente dell’organo di controllo, questo dovrà essere necessariamente costituito in forma collegiale. L’esclusione della possibilità di avere un organo monocratico, quindi, potrebbe incidere sulla sostenibilità degli enti anche in misura rilevante, soprattutto per quelli che dispongono di scarse risorse finanziare che, in questo modo, verrebbero sottratte all’attività di interesse generale.
Ma c’è di più. Un’ulteriore e non meno gravosa forma di controllo è dettata al comma 4 dell’art. 112 del disegno di legge, secondo cui “detti soggetti a decorrere dall’anno 2025 non possono effettuare spese per l’acquisto di beni e servizi per un importo superiore al valore medio sostenuto per le medesime finalità negli esercizi finanziari 2021, 2022 e 2023, come risultante dai relativi rendiconti o bilanci deliberati”.
Questa misura, già sperimentata per le amministrazioni pubbliche, si presta a diverse criticità e di fatto può rappresentare un blocco alla crescita degli enti non profit, che non possono fare investimenti dovendo soggiacere alle stringenti disposizioni di legge.
Ad oggi sono già diverse le proposte di emendamenti presentate dal mondo non profit, proposte in cui si chiede esplicitamente la soppressione di una norma così vincolante e insensata.